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Le lobbies nell’ordinamento italiano: Quale regolamentazione possibile?

La rappresentanza organizzata degli interessi è un tema che negli ultimi anni ha assunto una centralità sempre maggiore nel dibattito politico italiano.

I motivi, banalmente, possono essere due: da un lato, il tentativo di emulare esperienze virtuose che si trovano in giro per l’Europa e negli Stati Uniti , soprattutto per quanto riguarda la regolamentazione del fenomeno; dall’altro, invece, il tentativo di escludere dalla galassia della rappresentanza degli interessi quegli scandali corruttivi che ciclicamente investono il nostro Paese e che coinvolgono i decision makers e gli attori economici e sociali.

Su quest’ultimo punto si concentra, del resto, l’attenzione dell’opinione pubblica quando, ad esempio, le indagini degli inquirenti smascherano maxi truffe e tangenti per l’aggiudicazione di appalti. In questo senso, il tema della rappresentanza degli interessi racchiuderebbe in sé due dimensioni: una “giuridica”, alla quale sarà prestata particolare attenzione, vale a dire la necessità di regolamentare l’attività della rappresentanza degli interessi, in termini, soprattutto, di criteri e modalità di accesso dei gruppi di pressione alle istituzioni pubbliche.

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L’altra “sociale”, ovvero evitare che il lobbying (inteso, in termini generali, come sistema della rappresentanza degli interessi) sia tendenzialmente percepito come sinonimo di malaffare e corruzione.

 

Il paper vuole sottoporre all’attenzione del lettore una serie di fattori e cause che sembrerebbero ostacolare la regolamentazione delle lobbies nell’ordinamento italiano.

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