Articolo pubblicato su Formiche il 23/01/2022
Di Michelangelo Suigo
Dopo essere passato alla Camera quasi all’unanimità, il ddl sul lobbying arriva in Senato, una legge fondamentale per garantire trasparenza e certezza del diritto. L’intervento di Michelangelo Suigo, direttore Relazioni esterne, comunicazione e sostenibilità-Inwit
Su una cosa penso che (quasi) tutti concordino: c’è ancora molto da fare per combattere fake news e ignoranza su che cosa significhi fare lobbying. È indubbio che, da questo punto di vista, il disegno di legge per la regolamentazione dell’attività di rappresentanza dei gruppi d’interesse sia una tappa fondamentale, anche per liberare l’ordinamento italiano da quell’impasse burocratica che blocca l’evoluzione positiva dell’attività di rappresentanza degli interessi particolari. Ne scrivevo lo scorso dicembre proprio qui e ora, con l’approvazione in prima lettura del disegno di legge alla Camera (con voto sostanzialmente unanime), la regolamentazione delle relazioni con i decisori ha compiuto un’ulteriore tappa verso quell’allineamento tanto auspicato con i modelli virtuosi che sottendono l’attività professionale delle relazioni istituzionali. Il ministro Brunetta ha sottolineato come questa sia “una legge europea capace di colmare un vuoto normativo più volte segnalato in questi anni da diverse istituzioni”. Si tratta, infatti, di consegnare al Paese una legge fondamentale per la democrazia: siamo giunti ad un livello del dibattito pubblico molto più pervasivo rispetto al passato, con conseguenze nei confronti dei decisori, che ridefiniscono priorità, strategie e modalità operative, e nei confronti dei professionisti della rappresentanza degli interessi, sempre più sensibili e desiderosi di avere, finalmente, una norma che definisca il perimetro all’interno del quale è disciplinata l’attività di lobbying. Motivo per cui misure come quella appena approvata alla Camera non solo sono necessarie, ma devono poter essere adeguatamente calibrate alle procedure di costituzione della volontà generale. Citando Rousseau “solo la volontà generale può dirigere le forze dello Stato secondo il fine della sua istituzione, che è il bene comune: infatti, se l’opposizione degli interessi particolari ha reso necessaria l’istituzione delle società, è l’accordo di questi stessi interessi che l’ha resa possibile”. Ecco perché questo provvedimento, pur costituendo un risultato indispensabile (dopo decenni di tentativi), può essere ulteriormente raffinato nelle procedure di regolamentazione che si rifanno alla costruzione della volontà generale. In tal senso, si possono individuare alcune aree del ddl sulle quali è auspicabile un contributo migliorativo dalla discussione che si aprirà a Palazzo Madama. Per dare ancora maggiore certezza del diritto, sarebbe indispensabile ridurre la discrezionalità e specificare in modo più chiaro il confine tra lecito e illecito nell’attività di lobbying. Tutto, infatti, sembrerebbe incrociarsi con la norma sul traffico di influenze, reato introdotto nel 2012 con la Legge Severino e modificato nel 2019 con la riforma Bonafede – cosiddetta “spazza corrotti”. Questo reato si configura quando qualcuno, indebitamente, sfruttando delle relazioni, pone in essere una mediazione illecita. Il che ingenera ampi margini di discrezionalità circa, ad esempio, l’individuazione della condotta “indebita” o della mediazione “illecita”. Un altro aspetto riguarda alcune esclusioni dall’ambito di applicazione, che forse non tengono in considerazione che uno degli obiettivi di una legge di regolazione del lobbying dovrebbe essere proprio quello di assicurare parità di condizioni nell’esercizio dell’attività di rappresentanza di interessi, e non cristallizzare le differenze già esistenti, anche ai fini della trasparenza di tutti i soggetti. Non è un caso, forse, che a Bruxelles la regolamentazione europea non preveda queste esclusioni. Infine, il Senato potrebbe considerare di prevedere un maggior livello di reciprocità, stabilendo che i decisori pubblici rispondano con la stessa trasparenza richiesta ai portatori di interesse: se si prevede che un lobbista renda pubblica la propria agenda, lo stesso dovrebbe valere per la controparte. Oppure sarebbe utile che le consultazioni pubbliche siano la normalità (sempre come accade a Bruxelles) e non solo una “possibilità”.
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