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Giornalismo digitale e Google. L’attività di soft lobby

(Paolo Pugliese) L'attuale contesto economico e sociale si caratterizza per un'inclusività e una rapidità di diffusione delle informazioni mai sperimentate prima nella storia dell'uomo: chiunque, in qualunque parte del mondo, ha la possibilità tramite una connessione internet di sperimentare in diretta avvenimenti che hanno avuto luogo a migliaia di chilometri di distanza, come l'atterraggio di una sonda su un altro pianeta o le elezioni del prossimo leader del mondo occidentale.

Con l'aumento della disponibilità di Internet sta parallelamente crescendo anche il tasso di consapevolezza che il grande pubblico ha degli eventi quotidiani: argomenti che vent'anni fa sarebbero stati trattati nel chiuso dei nuclei familiari o lavorativi ora vengono condivisi con centinaia o migliaia di contatti, generando discussioni di respiro infinitamente più ampio. D'altro canto questi sviluppi tecnologici, fattisi anche sociali, hanno portato anche alla nascita di siti e pagine che pur di raggranellare una manciata di click non esitano a riportare qualunque notizia, non importa se vera o verificata, alimentando un fenomeno di incorretta informazione.

Da queste premesse risulta agevole comprendere come un'impresa che voglia rappresentare al meglio i propri interessi non possa più privarsi di una campagna comunicativa adeguata al proprio pubblico di riferimento. Per ottenere i migliori risultati nel campo della persuasione dei decisori pubblici sono necessari importanti investimenti anche nella percezione che un pubblico sempre maggiore e sempre più informato ha di quella società. Le direttrici strategiche del posizionamento istituzionale, quali il monitoraggio, l'inquadramento dei decisori e dei legami con le loro constituencies, il contatto con i responsabili dell'impresa e la tempestività dell'azione, pur rappresentando alcuni dei pilastri fondanti di ogni efficace azione di lobby, non esauriscono più l'insieme delle attività da svolgere per una corretta comprensione dei propri valori e della propria mission.

Non stupisce quindi che Google, pur essendo società leader per investimenti in attività di lobby sul Congresso americano[1], abbia lanciato una campagna di supporto all'educazione, all'arte e alla cultura europea, offrendo incentivi all'editoria al fine di un completo scatto verso il modello digitale e finanziando corsi di apprendimento in materie collegate al modello di business di Google, quali marketing online ed e-commerce: recentemente l'azienda di Mountain View ha anche realizzato una mostra d'arte utilizzando le ultime tecnologie in ambito di realtà virtuale. Il New York Times, descrivendo questi impegni, li ha definiti attività di soft lobbying[2]: azioni in grado di modificare l'immagine pubblica del brand Google soprattutto in Europa, terreno di confronto spesso ostile per le grandi corporation americane, si veda il caso Apple[3].

L'elemento distintivo che rende questi investimenti diversi da quelli usualmente effettuati in società di lobby sta nell'espandere il più possibile la consapevolezza circa le attività di Google nel Vecchio Continente pur non confluendo nelle spese di rappresentanza già sostenute a Bruxelles, in quanto non volte ad influenzare direttamente i decisori europei sulle numerose tematiche che impattano sul colosso, ma dirette alla community tech europea, generalmente molto più positiva nei propri giudizi verso le imprese americane rispetto ai commissari europei. È indubbio che Google (ora parte di Alphabet) negli anni abbia creato un ecosistema vicino alle richieste degli utenti e si sia dimostrata molto disponibile ad ascoltare le proposte provenienti dalla sua user base sfruttando le imponenti sinergie tra i propri prodotti, ad esempio sponsorizzando concerti via Youtube e creando di spazi di co-working per i giovani lavoratori. La costituzione di un fondo di 150 milioni di euro per supportare gli editori europei nel processo di digitalizzazione potrebbe stupire, se si considera che proprio i publisher sono da sempre i più fermi avversari dell'azienda americana anche a Bruxelles[4], avendo subito forti conseguenze economiche dovute alla modifica dirompente del business model tradizionale successiva alla diffusione di massa dell'accesso ad Internet, come dimostra chiaramente il caso di Google News Spain.

I britannici The Guardian e Financial Times, Die Zeit in Germania e La Stampa sono solo alcuni tra i partecipanti a questo progetto, che indiscutibilmente ha attirato l'attenzione di tutta Europa su una tematica molto vicina a tutti noi che quotidianamente ci informiamo ma di cui si discute raramente tra i non addetti ai lavori. Nel posizionarsi non come un gigante che schiaccia la secolare tradizione dell'editoria ma come un alleato nella battaglia per un nuovo modello di giornalismo digitale sta la vera sfida reputazionale che Google e le altre imprese del settore (Amazon e Apple su tutte) devono sostenere, anche e soprattutto fuori dagli uffici dei funzionari europei. Come spesso accaduto, Mountain View sembra un passo avanti ai competitors e pronta a svolgere un ruolo di leader globale nel mercato dell'informazione.

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