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Il lobbying è cambiato, ma chi vuole regolarlo non se n’è accorto

Aggiornamento: 22 mar 2022

Articolo pubblicato su Formiche in data 10/01/2022

Di Fabio Bistoncini.

Nel 2020, annus horribilis per l’economia italiana, il lobbying è andato in controtendenza nel settore della comunicazione. Ma la discussione in Commissione sul disegno di legge per la sua regolamentazione non lascia grandi spazi all’ottimismo. L’intervento di Fabio Bistoncini, presidente e fondatore di FB&Associati

Ogni volta che mi accingo a scrivere alcune riflessioni sulla professione del lobbista e sui suoi possibili sviluppi mi ripeto come un mantra due frasi a cui sono molto legato. E’ molto difficile fare previsioni, specialmente riguardo al futuro. (Niels Bohr) ([1]) Nel lungo periodo siamo tutti morti (John Maynard Keynes) Partendo da questi due punti fermi vorrei provare a delineare cosa sta accadendo nella rappresentanza di interessi cercando di sottrarmi al contingente: cosa non facile in questo gennaio, appena archiviata una delle più convulse e difficoltose leggi di bilancio, con l’elezione del Presidente della Repubblica alle porte e la conseguente incertezza incombente sull’attuale Governo. Fabio BistonciniL’attività di lobbying (o di relazioni con il processo decisionale) sta diventando sempre più centrale nella definizione delle strategie degli interessi organizzati (imprese, associazioni di categoria, ordini professionali, ong, ecc.). Come sottolineava David Truman negli ormai lontani anni ’50 del secolo scorso ogni qual volta si verificano turbolenze all’interno di un sistema politico e sociale si assiste alla proliferazione delle azioni consapevolmente organizzate da parte dei gruppi d’interesse. E, di conseguenza, all’aumento dell’attività e dell’intensità del lobbying. Lo dimostrano anche i dati del nostro mercato. Nel 2020 (annus horribilis per l’economia italiana, con il PIL in caduta libera), l’unico comparto in controtendenza nel settore della comunicazione è stato proprio quello del lobbying. Quasi tutte le società di consulenza hanno incrementato il proprio fatturato e in molti casi anche l’EBITDA: la FB & Associati ha consolidato una crescita del 20% (fatturato) e ha più che raddoppiato il secondo indicatore. Si conferma dunque che il lobbying sia un comparto fortemente “anticiclico” e che quindi i gruppi di interesse utilizzino questa leva proprio nei momenti di difficoltà. Ma secondo me c’è anche altro. La pandemia è stato un incredibile acceleratore di alcune dinamiche e tendenze che hanno portato il Decisore Pubblico (a tutti i livelli) a ridefinire le proprie priorità, le conseguenti strategie e le modalità operative: non solo per fronteggiare l’emergenza sanitaria ma per riscrivere il “dopo”. Se guardiamo all’Europa, il programma Next Generation o il pacchetto “Fit for 55” per una transizione energetica più “verde”, sono solo due esempi di quello di cui stiamo parlando. Analizzando l’agenda politica non solo europea ma internazionale di esempi ne potremmo fare a decine: dall’agroalimentare al digitale, dai trasporti alla sanità. Quello che ci interessa sottolineare è che la tendenza del decisore ad intervenire più decisamente rispetto al passato (ri)scrivendo le regole di contesto e/o fissando stringenti obiettivi (economici e sociali) agli operatori, non sarà più prerogativa dei tradizionali settori ad alto impatto regolatorio ma si declinerà in tutti i mercati. Un intervento che, in molti casi, determinerà cambiamenti di equilibri e modifiche dello status quo con gruppi d’interesse che cercheranno di guadagnare spazi o di mantenere la posizione privilegiata costruita nel corso di anni. Una parte di queste azioni rientrerà nella strategia classica, il lobbying diretto: contatti cioè diretti con i decisori, trasferimento di richieste, istanze, proposte. Con dati, ricerche, studi a sostegno delle proprie tesi. Ma il dibattito pubblico, quell’insieme di conversazioni, prese di posizione, commenti sull’agenda delle cose da fare e sulle scelte da compiere o già compiute dal processo decisionale è molto più ampio e pervasivo rispetto al passato. Supera i confini degli “addetti ai lavori”, travalica gli ambiti di competenza. Genera a sua volta reazioni e pressioni nei confronti del decisore. Per questo motivo i gruppi d’interesse dovranno sempre più dotarsi di strategie di advocacy per posizionare un tema al centro dell’agenda politica ed istituzionale e di lobbying indiretto: accompagnando le proprie proposte di policies con attività di comunicazione e mobilitazione dei propri aderenti, stringendo alleanze con altri soggetti, adattandosi quindi ad un contesto sempre più complesso. Molto più competitivo rispetto a quello degli ultimi anni. E quindi denso di opportunità. Per completare il quadro si devono considerare alcune peculiarità invece tipicamente nazionali. Per motivi di spazio ne prendiamo in considerazione le tre per noi più rilevanti. 1) l’impatto che, dal 2023, la riduzione del numero dei parlamentari avrà nel rapporto tra Governo e Parlamento. Se cioè l’equilibrio (ad oggi a favore dell’esecutivo) troverà un nuovo equilibrio. 2) il rinnovato ruolo che l’istituto referendario (grazie all’impiego di strumenti digitali) avrà nella determinazione del dibattito pubblico. 3) Lo spazio che le Regioni (e la Conferenza Stato-Regioni) avranno nella definizioni delle policies nazionali. Rimane sullo sfondo l’incognita di come il Decisore Pubblico (questa volta nazionale) dialogherà con gli interessi organizzati. Se cioè costruire relazioni privilegiate con i gruppi “insider” – quelli cioè che da più tempo sono presenti nelle arene di policies – oppure aprirsi ad una pluralità di voci guardando più alla reale capacità di rappresentanza che all’etichetta o al blasone. La discussione in Commissione sul disegno di legge per la regolamentazione dell’attività di rappresentanza dei gruppi d’interesse non lascia grandi spazi all’ottimismo. Esprime infatti una “visione” che cristallizza il classico approccio che i partiti italiani hanno sempre avuto nei confronti dei gruppi d’interesse: ne riconoscono esplicitamente “pochi”, ai quali viene accordata una “corsia” preferenziale di interlocuzione, indipendentemente dalla reale rappresentatività dei suddetti gruppi. Ma come spesso è accaduto in passato, anche in questo caso, saranno i nuovi equilibri sociali, politici ed economici a imporre eventuali cambi di rotta. [1] In realtà pare sia stata erroneamente attribuita al grande fisico danese che si è limitato solo a citarla.



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