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"Siamo tutti lobbisti. Oggi un rider dovrebbe contare più di un notaio"

Aggiornamento: 22 mar 2022

Claudio Velardi a Huffpost: "Serve una legge su trasparenza e reciprocità, non quella che è in Parlamento. Crediamo ancora di vivere in un mondo vecchio"


Articolo pubblicato su Huffington post il 13/01/2022

Di Federica Olivo

Le istituzioni, per come le conosciamo, fanno parte dell’Ancien Regime. Bisogna prendere atto del fatto che viviamo in un mondo nuovo, in cui non esiste nessun paletto che possa impedire ad alcuno di rappresentare i propri interessi”. E, proprio per questo, l’attività di lobbying non deve essere demonizzata, ma normata. Parte da questo assunto il ragionamento di Claudio Velardi, docente di lobbying e comunicazione politica alla Luiss, fondatore del Riformista e con una lunga storia politica, a sinistra, alle spalle. Huffpost lo intervista all’indomani del via libera della Camera della proposta di legge che dovrebbe disciplinare - dopo quasi cento tentativi mai approdati in Aula - il mondo delle lobby. Per Velardi il provvedimento non va nella direzione giusta. Da dove partire, allora, per arrivare a una disciplina senza storture? “Da due principi: trasparenza e reciprocità”. E da un promemoria: “A tutti i centri di interesse deve essere dato spazio per presentare le proprie istanze”. Solo in questo modo si possono eliminare le diseguaglianze in partenza tra chi ha un interesse da far valere. E solo così si può dare, nella negoziazione, a tutte le categorie lo spazio che meritano. Guardando, sempre, a chi conta di più nel mondo attuale e non solo a chi gode di un potere antico: “Io oggi - ci dice -considererei, se solo ci fosse, la lobby dei rider molto più importante di quella dei notai. Perché nel mondo reale i primi contano molto di più dei secondi, ma non hanno nessuno che tutela i loro interessi”. In Italia la parola ‘lobby’ spesso assume un connotato negativo. Come si può scardinare questo modo di pensare? Per farlo bisogna partire da due premesse: la prima è che tutti siamo lobbisti. La socialità dell’essere umano si alimenta in un gioco, virtuoso, di scambi basati sugli interessi. Fa parte della tendenza evolutiva di tutti il voler rappresentare, direttamente o in via associata, le proprie istanze. Anche facendo le debite e legittime pressioni presso i decisori. La seconda premessa? La democrazia rappresentativa è in crisi. Il sistema è cambiato. Pensiamo al Parlamento: qualche decina di anni fa c’era una rappresentanza pressoché diretta delle classi sociali. La Coldiretti che poteva contare sulla Dc, mentre il Pci e i sindacati erano il punto di riferimento degli operai, e così via. Era una società con una struttura più semplice. Gli interessi si sono moltiplicati. La politica nazionale non ha più la stessa centralità di un tempo. Le istituzioni contano sempre meno, i mercati incidono in misura maggiore. E il Parlamento non basta più. Il Parlamento, però, resta la sede della rappresentanza. Che ruolo ha, in quest’ottica? Quello di essere un filtro, intelligente, degli interessi che gli si palesano. Non lo immagino come il vecchio Parlamento che si arrocca, che resta fuori dalla realtà, ma come un’istituzione che riesca a contemperare i vari interessi. C’è, però, un problema: non tutte le categorie hanno la stessa possibilità di rappresentare i propri interessi. Come si scongiura il rischio di diseguaglianze? Non c’è dubbio che, ad oggi, sia così. Ma il rischio si scongiura mettendole tutte sullo stesso piano, almeno in partenza. Poi spetta alle istituzioni bilanciare i vari interessi e decidere quali far prevalere. Tenendo, però, sempre a mente la realtà, la forza quantitativa, ma anche di prospettiva, dei vari gruppi. In quest’ottica io considererei, se esistesse, molto più importante la lobby dei rider che quella dei notai. La seconda, con tutto il rispetto, è potentissima, perché gode di privilegi antichi. E nessuno dice una parola. Nel mondo reale, però, i rider contano molto di più dei notai. Ieri non è passato un provvedimento che avrebbe consentito alle parafarmacie di effettuare i tamponi rapidi. In questo momento storico ampliare i luoghi dove fare i test sarebbe stato di grande aiuto. Ha prevalso la lobby delle farmacie? Sembra evidente. Ma anche questo è il riflesso del fatto che si crede ancora di vivere in un vecchio mondo. Qui non si tratta di stabilire se ci siano lobby giuste o sbagliate, ma di considerare tutti gli interessi. Le parafarmacie sono nate da relativamente poco tempo, ma ora esistono. Perché non ascoltare anche loro? Veniamo alla proposta di legge passata ieri, senza neanche un voto contrario, alla Camera. Un buon compromesso? Direi di no. Il via libera è stato dato, è vero, ma sembra essere più un contentino per i 5 stelle - che comunque considerano il testo troppo poco punitivo - che altro. Per Forza Italia e Italia Viva è invece una norma troppo restrittiva. Temo che al Senato finirà su un binario morto, e me ne dispiaccio, perché senza norme - necessarie - tutti continueranno a dire le peggiori cose possibili delle lobby e non si riuscirà ad applicare due principi, molto semplici, che dovrebbero essere il cardine della loro attività. Quali sono? Trasparenza e reciprocità. Trasparenza perché è necessario che chiunque abbia degli interessi, o si associ per rappresentarli, debba dichiarare quali sono i suoi obiettivi, che argomenti ha, per conto di chi lavora, perché li fa valere. Vogliamo applicare questo principio con un registro, come prevede la proposta di legge? Va benissimo. Poi però a questo registro si devono iscrivere tutti. Il provvedimento passato ieri alla Camera, invece, esclude i sindacati e Confindustria. Forse perché i sindacati hanno già un chiaro ruolo, anche costituzionale, e Confindustria viene comunque sempre ascoltata in fase di concertazione? Può darsi, ma tutte queste cose fanno parte del vecchio mondo. Sono categorie da ancien regime: clero, nobili, popolo. Non funziona più così. Nel mondo nuovo non si può porre nessun paletto per impedire a chi ha degli interessi di rappresentarli. Faceva riferimento alla reciprocità. Ci spiega cosa intende? È un concetto molto serio. Così come alle lobby viene chiesto, giustamente, di essere trasparenti, le istituzioni devono rispondere con analoga chiarezza. I loro rappresentanti devono, ad esempio, dichiarare chi hanno ricevuto, rendere noto cosa hanno risposto alle loro istanze. Si devono, insomma, proceduralizzare le consultazioni. Esattamente come avviene nel resto d’Europa. Nel provvedimento passato alla Camera si prevede che gli ex ministri e gli amministratori locali, quando la loro carica finisce, debbano aspettare un anno prima di iniziare a fare lobbying. Condivide il principio? Lo trovo giusto. Ma anche in questo caso, bisogna fare norme precise. Ad esempio, gli ex commissari europei, nel periodo di cooling off, in cui non possono fare certe attività, ricevono un’indennità. Una misura del genere andrebbe garantita anche a loro. Lei sostiene che questo provvedimento difficilmente diventerà legge. Con quali conseguenze? Oltre a quella accennata prima, ce n’è un’altra da non sottovalutare: che invece della proceduralizzazione delle dinamiche, si finisca per accrescere la loro giustizializzazione. Pensiamo al traffico di influenze illecite, disciplinato dalla legge Severino. Quello è l’ultimo atto di giustizializzazione della discussione pubblica. Ma è chiaro che, se la rappresentanza degli interessi non viene regolata, è facilissimo che qualsiasi attività di lobbying venga interpretata come influenza illecita. Perché tutto ciò muti, però, bisognerebbe cambiare, da un punto di vista culturale, l’idea che l’attività di lobbying sia opaca, grigia, sbagliata e che sia disdicevole il fatto che ha alla base anche il denaro. Il denaro non è lo sterco del demonio, quella è un’idea medievale. È, invece, il più bel simbolo della fiducia. Fiducia? In che senso? Lei pensi al primo uomo che ha scambiato un prodotto, un sacco di grano magari, con una lega di argento e oro, la prima forma di moneta. Pensi a quanta fiducia ha riposto nell’interlocutore, accettandolo. Se si abbraccia questa prospettiva, il denaro non assume un connotato negativo. E si capisce anche con più chiarezza che contrattare per i propri interessi non sia qualcosa di negativo. Poi certo, lo ribadisco, alle istituzioni spetterà soppesare le varie richieste.



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